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Settant’ anni fa, il 30 novembre 1954 moriva uno dei più grandi e controversi musicisti e direttori d’orchestra del ‘900 su cui grava una grande ombra che ancor’oggi non gli dà tregua: Wilhelm Furtwängler.
Esistono personaggi che la Storia ci ha consegnato, il cui ricordo è offuscato da molte e gravi ombre tali da far passare in seconda linea i meriti di una vita dedicata all’arte.
E’ il caso di Wilhelm Furtwängler, leggendario Direttore perso nella bufera dei nefasti eventi storici della Germania del secolo scorso, sua terra natale.
Contemporaneo di altrettanto importantissimi Direttori del calibro di Arturo Toscanini, Bruno Walter, Karl Böhm, Otto Klemperer e Victor De Sabata fu probabilmente il massimo interprete della musica romantica tedesca, rappresentante e difensore del glorioso patrimonio musicale tedesco.
Schumann, Schubert, Bruckner, Wagner, Brahms, Beethoven sono solo alcuni Autori da lui interpretati.
Crebbe con una educazione rigidamente nazionalistica, basata sulla supremazia tedesca, legata alla creatività spirituale e artistica.
Come molti altri conservatori in ambito musicale, espresse pubblicamente la sua avversione per la musica moderna come
lo swing, il jazz e la musica atonale non ignorando tuttavia il talento musicale che si celava in queste musiche.
A tal proposito tenne a battesimo, in prima assoluta, un’opera modernista di Arnold Schönberg e di Paul Hindemith andando contro le direttive politiche in ambito artistico legate al totalitarismo nazionalsocialista.
Nel 1933, purtroppo, iniziò l’epoca in cui la separazione tra arte e politica era semplicemente impossibile. Suo malgrado Furtwängler divenne una sorta di ambasciatore culturale del regime totalitario tedesco, cui peraltro non seppe, o non volle, sottrarsi trasferendosi all’estero come ad esempio fecero Bruno Walter, di religione ebraica, Arturo Toscanini in Italia e Sigmund Freud.
Se fossero rimasti in Patria sarebbe stata a rischio la loro opera e, forse, la loro vita.
Lui rimase, continuò il lavoro, pervicacemente quasi una sorta di imperativo categorico kantiano. Proteggere la musica tedesca. Il filosofo Theodor Adorno lo definì “il guardiano della musica”.
A questo proposito, accusato dagli americani di filonazismo e antisemitismo dirà poi:
“Non potevo lasciare la Germania in quello stato di massima infelicità, andarsene sarebbe stato una fuga vergognosa, dopotutto sono tedesco e non rimpiango di aver fatto questo per il popolo tedesco”
Fu processato e ritenuto innocente.
Bertold Goldschmidt, musicista tedesco, fece notare a suo demerito che avrebbe dovuto essere consapevole del prestigio che il suo lavoro dava al regime totalitario rovinando nel contempo l’immagine della cultura tedesca.
Direttore della Berliner Philharmoniker, consapevole o meno del dramma della Shoah, difese finche gli fu possibile i suoi orchestrali di origine ebraica pur riconoscendo nel suo comportamento una posizione conflittuale.
Quegli stessi professori che spesso riuscivano difficilmente a intendere i movimenti del corpo e tutti i suoi gesti mentre dirigeva, gesti che lo facevano apparire come un burattino mosso da fili. Lui, di pochissime parole riusciva a dare tensione con una curiosa gestualità.
Rifiutò il mito della tecnica e della precisione nella resa cromatica del testo scritto, tanto da aver adottato un gesto definito “a-tecnico” proprio perché prediligeva l’estetica romantica dell’indefinito, del carattere non oggettivabile dello spirito musicale. Complessità tecnica ed emozionale in coerenza con la natura romantica di cui era strenuo difensore.
Diceva: “La forma deve essere chiara, asciutta, senza effusioni, ma il fuoco, il nucleo infuocato, quello deve rimanere e deve illuminare dall’interno questa forma”
Fu scritto che dove altri vedevano singole note, stelle per così dire, egli, là, scopriva costellazioni.